Milano e Genova: due città immense, due città intrise di arte e cultura quanto le città imperiali. Rappresentate e cantate da imperatori contemporanei…, da una parte: Adriano Celentano, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e dall’altra, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Fabrizio De Andrè… Per citarne solo alcuni del Pantheon della grande musica italiana.
Queste due città, scrigno di
cultura musicale eccelsa, devono molto agli artisti ai quali hanno dato i
natali. Ma, forse, i loro figli più rappresentativi penso proprio che possano
essere indicati in Jannacci per Milano e De Andrè per Genova. Due grandi nomi,
che contro ogni barriera conformistica hanno gridato le loro canzoni con le
parole della propria terra: l’Artista con La
Milano di Enzo Jannacci e il Poeta con Crêuza de mä.
La loro voglia di cantare la
figura dell’antieroe, con suoni autoctoni, col rischio di non essere capiti dal
resto del mondo e a scapito anche del successo delle loro canzoni, è la sfida
che ognuno di noi dovrebbe lanciare al mondo commerciale, omologante e
stereotipato in cui viviamo… Agonizzanti al cospetto del "Dio Danaro" e privi di
un granello di personalità.
La Storia ci riporta alla mente
un piccolo screzio avvenuto tra i due, quando il milanese si rese conto che il
genovese nel musicare Via del Campo
(1967) si era impossessato della sua di musica, già utilizzata come base per La
mia morosa la va alla fonte (1965).
Pur trattandosi di una ballata del XV secolo, Jannacci l’aveva fatta sua
modificandola.
Riconosciuto in un certo senso il
"plagio", dopo qualche anno De Andrè attribuì la paternità di quella
musica a Jannacci. Dopo qualche tempo ancora, quando l’amico era morto,
nell’omaggiare il genovese, il milanese ci regalò, col suo piano e la sua
graffiante voce, una delle più belle interpretazioni di Via del Campo.
Oggi i due si ritrovano, magari
già ne è nato qualcosa a 4 mani… forse pure a 6, se di mezzo ci si mette il
fratellastro Gaber…!
Bruno Greco
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